Nello scorso post abbiamo visto che cos’è e come si fa un Rebranding. Oggi vi accompagno alla scoperta di alcune case history provenienti dal mondo della moda: il tema è sempre quello del Rebranding. Buona lettura!
Il Rebranding nelle case di moda
Quando una maison di moda decide di lanciarsi in un Rebranding? Oltre alle motivazioni che già conosciamo spesso il Rebranding coincide con l’arrivo di un nuovo direttore creativo nella casa di moda.
Ne sono alcuni esempi l’arrivo nel 2012 di Hedi Slimane a YSL, nel 2015 di Alessandro Michele a Gucci, e nel 2018 di Riccardo Tisci a Burberry.
Perché i nuovi loghi nel fashion sono tutti uguali?
Se si fa un ripasso dei loghi dei più grandi marchi di moda non è difficile accorgersi e chiedersi come mai negli ultimi anni, le brand identity si siano uniformate a tal punto da rendere tutti i loghi molto simili tra loro: l’uso dei font bastoni (o sans-serif, senza grazie) è infatti predominante.
Le motivazioni sono interessanti:
- i Millenial sono no-logo: la generazione nata tra il 1981 e il 1996 cresce in anni in cui i loghi sono ovunque e ostentanti fino alla nausea. Ne consegue che oggi che il potere di acquisto è nelle loro mani preferiscono brand dove i loghi siano poco o del tutto invisibili, preferendo la possibilità personalizzare a loro piacimento i vari capi. Si passa così da una generazione che accetta e subisce la moda passivamente, a una generazione che ne è parte integrante, che la vive e la modifica attivamente;
- mercato globale: i più grandi marchi di moda, per sopravvivere, iniziano a parlare al mercato globale (Cina in primis). Di conseguenza anche i loro loghi si adatteranno sempre più a un target globale;
- supremazia digital: i loghi minimal e con font sans-serif sono estremamente versatili e per questo ben si adattano a siti internet, app, canali social.
Per approfondire questi aspetti consiglio di leggere l’articolo di Matteo Modica: perché i loghi del fashion stanno diventando tutti uguali?
YSL VS Saint Laurent
Nel 2012 è stata molto criticata (soprattutto sui social) la scelta di Hedi Slimane – nuovo direttore creativo di Yves Saint Laurent – di cambiare il nome del marchio prêt-à-porter in Saint Laurent Paris. La presentazione del nuovo logo, che nulla aveva a che spartire con quello del 1961 (disegnato dall’illustratore e grafico Adolphe Cassandre) andò ancora peggio: si sollevò un vero e proprio vespaio di disapprovazione.
Come avviene in questi casi le critiche risultarono infondate, in quanto mosse soprattutto da persone che non conoscono affatto la storia del brand.
Chiamando la nuova linea Saint Laurent, Slimane ha infatti mostrato intelligenza e grande rispetto a Yves Saint Laurent. Il nuovo logo si ispira e omaggia il logo della collezione prêt-à-porter nata nel 1966 chiamata “Saint Laurent Rive Gauche”, ideata proprio dal fondatore del brand.
Questo trucco intelligente di “retro-branding” restituisce al brand lo spirito delle origini, senza quindi snaturarlo.
Burberry
Siamo nel 2018: Riccardo Tisci arriva a Burberry per ricoprire la carica di nuovo direttore creativo della maison britannica e con lui un nuovo rebrand per il marchio.
Tisci lancia – direttamente dall’account Instagram del brand – il nuovo logo di Burberry, ideato dal grafico Peter Saville, e un monogramma (pescato direttamente dagli archivi storici del marchio) che farà da apripista all’imminente sfilata S/S 2019.
Cosa ci piace di questo Rebranding?
Il lancio
Il principale canale usato per comunicare il rebrand è Instagram. Tisci fa crescere buzz e aspettativa mostrando uno scambio di email avvenuto con il graphic designer del nuovo logo: solo qualche giorno dopo vedremo la nuova brand identity del marchio. Burberry comunica la propria immagine rinnovata mostrando foto e video su Instagram: edifici, auto, un orso giocattolo di dimensioni giganti, un grattacielo, tutti con il nuovo pattern.
Una moderna storicità
Il punto più interessante del rebranding è, come per YSL, la ricerca dell’identità più profonda del marchio: è per questo che rigetto l’idea che le brand identity dei grandi marchi di moda siano definite come uguali le une alle altre. Sia Tisci che Slimane hanno attinto agli immensi archivi storici delle varie maison, andando a raccogliere ispirazioni, suggestioni e dettagli a cui hanno dato nuova vita, per mixarli con elementi moderni e attuali. Questo mi serve come introduzione all’ultimo caso di studio, che meglio di tutti i precedenti porta con se la commistione tra vintage e contemporaneo.
Guccification
Non posso scrivere di Gucci senza nominare quello che è il suo direttore creativo dal 2015: Alessandro Michele. In una manciata di anni Michele è stato in grado di attuare una rivoluzione profonda all’interno della maison di moda, rilanciandola e portandola a essere il secondo marchio di moda più venduto al mondo (secondo solo a Louis Vuitton).
Alessandro Michele ha compreso, meglio di tutti gli altri, quanto sia importante far emergere l’identità di un brand del lusso, connotandolo di elementi sia storici e originari che contemporanei. Questo lo ritroviamo dalle collezioni alla comunicazione, fino alla visione stessa di Alessandro Michele.
Ma Alessandro Michele capisce soprattutto che, attraverso la sua visione, può dar vita a un mondo in cui la differenza diventa uguaglianza:
Io sono sempre stato diverso, ma ho sempre sentito la necessità di esserlo e di difenderlo. (…) Ho avuto dei momenti in cui ho pensato “Forse potrei scegliere una strada più facile” e invece io vi dico “scegliete quella più difficile, più complessa, non spianata, quella che nessuno vi indica. Perché quella che nessuno vi indica, ma che voi vedete ed è la più buia, è la strada che vi porterà in territori meravigliosi.” Quindi, proseguite. – Alessandro Michele
Cosa possiamo imparare (noi comuni mortali) da queste grandi maison di moda?
- Rebranding non sempre è sinonimo di rivoluzione: un brand non deve dimenticarsi della sua storia, perché è lì che risiede la sua identità più profonda;
- impiegare le fasi di analisi e ricerca per trovare gli elementi differenzianti del brand. Raccontare la diversità ci permette, da una parte, di far emergere l’originalità e l’unicità del brand, dall’altra consente di raccontare il tema dell’inclusività, tema importante tra le generazioni future, sempre più fluide e gender free;
- il rilancio di un brand non si fa solo tramite i canali tradizionali, ma anche e soprattutto attraverso piattaforme come Instagram.
Fonti
- Perché i loghi del fashion stanno diventando tutti uguali?
- Direttori creativi e rebranding, cosa ci insegnano gli esempi di Celine e Burberry
- Burberry, Riccardo Tisci svela il nuovo logo
- Direttore Creativo di Gucci, ci racconta come ha superato il bullismo durante l’adolescenza
Photo: Courtesy of Gucci