Quest’anno la mia partita iva compie 9 anni: se da una parte gli anni passano facendomi sentire inesorabilmente vecchia, dall’altra mi sento di poterne scrivere con cognizione di causa perché FINALMENTE ho esperienza.
Diventare freelance: false credenze
Iniziamo smontando qualche falsa credenza. Chi non è freelance crede che (generalizzo, ma quelle che propongo qui sotto le ho sentite pronunciare tutte):
- le giornate del popolo delle partite iva inizino alle 11:00 (prima si dorme, tanto non abbiamo cartellini da timbrare);
- si “lavori meno e si guadagni di più” (certo, magari come il modello del Nord Europa, vero?);
- rimanga più tempo per noi o per la famiglia (ahahah, NO);
- sia possibile “scalare il business” e vivere di rendita (che mi tocca scrivere);
- alcuni di noi siano degli ex punkabbestia riciclati a nomadi digitali, in viaggio per il mondo zaino in spalla, quando non si lavora con un laptop comodamente spiaggiati a bordo piscina (cretina io, che informo i clienti ad aprile per le ferie che farò ad AGOSTO);
- la donna freelance che lavora da casa sia tutti i giorni pittata e agghindata come se dovesse andare a sfilare alla MFW;
- se poi la donna in questione è pure madre, sia possibile conciliare più facilmente la vita lavorativa con la gestione dei figli e della casa.
Reality:
Immagine di: Gemma Correl
Sostituite nell’immagine sopra il cane con due gatti, aggiungete una copertina (sulle ginocchia, ‘che fa freddo) e avrete un quadro sputato della sottoscritta e di tanti, tantissimi altri freelance.
La realtà non è quella che ci mostrano i freelance-influencer su Instagram: la maggior parte di noi lavora come chiunque altro. A volte volentieri, a volte con fatica. A volte raggiungendo qualche piccolo successo, altre volte meno.
La verità è che non si lavora da freelance, ma si vive da freelance. Questo vuol dire che non ci sono sabati e domeniche che tengano, come nemmeno “sono le 18:00, andiamo a farci un aperitivo e ci pensiamo domani?”.
Il pensiero, tipicamente di chi lavora da dipendente, in cui ci si butta tutto alle spalle perché è finito l’orario di lavoro, se sei freelance non esiste. Questo porta a essere focalizzati, spesso inconsapevolmente, per una buona fetta del proprio tempo sul proprio lavoro, anche se in quel momento non stai davvero lavorando: il tuo lavoro però è sempre lì, in un angolo della tua mente, pronto a bussare ad ogni ora della giornata, tutti i giorni (mentre sei sotto la doccia, mentre guidi o prepari la cena).
Si può scegliere di accettarlo e imparare a conviverci (come ho fatto io), oppure essere consapevole che diventare freelance non fa per te (e non c’è davvero nulla di male).
Passione ≠ Lavoro
L’hai mai letta quella citazione che recita più o meno così:
“Scegli il lavoro che ami e non lavorerai neanche un giorno in tutta la tua vita”?
Ecco, ne è pieno il web di gente che spinge sul diventare freelance, trasformando una passione in un lavoro e la reputo una delle cose più deleterie da condividere, perché dà una prospettiva sbagliata della realtà.
Ovvio, fare un lavoro che piace è una cosa su cui tutti dovremmo puntare, ma credere che una passione possa diventare un lavoro, e pensare che tale possa rimanere per tutta la vita è sbagliato, per tutta una serie di motivi.
Il cliente si aspetta da noi un lavoro professionale, non qualcosa di realizzato a livello amatoriale. Di conseguenza, più passa il tempo e meno avremo a che fare con la nostra passione: “fare siti web” per me è solo il 30% del mio lavoro. Intorno ci sono i rapporti con i nuovi clienti e i fornitori da coltivare, la formazione, la comunicazione online del proprio brand, l’amministrazione, e non dimentichiamo le urgenze.
Non basta essere bravi a fare qualcosa: tutt’intorno ci sono un macello di cose da fare (e più di frequente, cose da imparare a fare) che nessuno racconta ma che portano via la maggior parte del nostro tempo. Per questo sopravvive solo chi si forma: giorno dopo giorno, quotidianamente, senza mai pensare di essere arrivati (ma dove?, mi chiedo io).
Mettersi in gioco
Diventare freelance comporta, soprattutto se si è agli inizi, una buona dose di coraggio e determinazione: occorre mettersi in gioco, magari andando contro a tutti quelli che dicono che non ce la farai.
Sono diventata freelance a 26 anni, senza nessuno che mi consigliasse cosa fare o che mi sostenesse: mio padre, 30 anni passati da dipendente sempre nella stessa azienda, si mostrò assai contrario della mia scelta. Mia madre gli andò dietro. E ricordo piuttosto vividamente una cena con loro, mio fratello e la sua allora fidanzata (tutti dipendenti), con quest’ultima che se ne uscì più o meno così: “tutto quello che guadagnerai lo spenderai in tasse. Puoi durare qualche anno, ma poi ti costringeranno a chiudere”. Ricordo bene addirittura una telefonata con il mio ragazzo, in cui mi disse chiaramente che avevo perso il lume della ragione, perché “ma chi te lo fa fare? Non ce la farai mai”.
Inutile dire che ora nessuno di loro la pensa più così (e che quel ragazzo è ormai da tanto tempo un ex: che liberazione!) e che i miei genitori sono tra i primi sostenitori della mia attività da freelance.
Ciò che voglio trasmettere è che non sempre i nostri cari saranno capaci di sostenerci: non perché non credano in noi, ma per paura o ignoranza. Quello che possiamo fare è andare avanti per la nostra strada: non voglio dire che sia facile o scontato, perché non lo è, ma con il sostegno di persone che ci sono già passate e con una buona dose di pianificazione, conoscenza e organizzazione si può fare, non è impossibile.
Nel confronto abita la serenità
All’inizio della mia attività da freelance mi avrebbe aiutato leggere ciò che sto per scrivere: il mondo è piccolo, quello del web lo è ancora di più. Per questo penso che abbia poco senso parlare di competitor, perché gira che ti rigira ci si conosce tutti. E, al pensiero di fare la guerra io preferisco mettere un fiore nei cannoni dei miei “competitor”.
Ora voi mi direte “Ma come sei zen, Laura: come ci sei riuscita?”
In realtà è stato un percorso lungo, quotidiano: non sempre è stato facile, per me. Ma dopo anni vissuti a sentirmi inferiore, a guardare all’erba del vicino, a sentirmi sempre in ansia, sotto attacco e piena di invidia, mi sono fatta un bell’esame di coscienza e ho capito che il problema era solo mio, e che sì, ne sarei uscita solo contando sulle mie forze.
Per questo ora trovo sia più sano e maturo pensare ai competitor come ad amici e colleghi, perché questo sono: persone molto vicine ai miei drammi. E tanto mi basta per sentirmi sollevata, accettata e compresa.
Non per niente due anni fa, insieme a Giulia Tosato e Andrea Maestrini (freelance come me), abbiamo dato vita al FreelanceMeetup: una serie di workshop e serate a tema freelance che ci ha permesso di confrontarci e fare amicizia con tantissime partite iva come le nostre. La transizione da competitor ad amico/collega è assicurata, provare per credere! 🙂
Diventare freelance: è una (fo****ta) questione di soldi
Perché scegliere di diventare freelance? No, la risposta non è “per non avere più un capo a cui rendere conto“, dal momento che, da freelance dovremo rispondere a più capi (i clienti).
Parlo per me: sono diventata freelance perché volevo fare il lavoro che mi piaceva (la web designer) mettendoci le mie idee, la mia creatività, la mia testa. Sì, sono una delle tante che è scappata dalle agenzie.
C’è poi l’idea (sfidante) che sta nel poter crescere: per numero di progetti realizzati, di esperienza e – non meno importante – di fatturato.
Quindi se mi si chiede “è una questione di soldi?” io rispondo “certo che è una questione di soldi: è un lavoro e come tale è sempre una questione di soldi”.
E in Italia è difficile parlare di soldi, è difficile chiederli, ed è difficile pretenderli (nei tempi pattuiti poi, non ne parliamo!). Per questo:
- agli aspiranti lavoratori autonomi: siete voi a dettare le regole del gioco. È un concetto semplice e banale, che non si conosce o si tende a minimizzare, soprattutto se si è all’inizio: siate chiari fin da subito con i vostri clienti, chiedete sempre che il vostro contratto sia firmato e prima di partire con ogni progetto pretendete un anticipo. Se al cliente non va bene, niente drammi: il mondo là fuori è pieno di altri professionisti che possono scendere alle condizioni a cui voi non volete sottostare. Discutete, trattate, ma se una cosa non vi va bene, non abbassatevi mai ad accettare lavori che, in cuor vostro, sapete che vi faranno vivere male. Scegliere a cosa e con chi lavorare è uno dei bonus dell’essere e/o del diventare freelance!;
- a chi è già freelance: smettetela di martirizzarvi e autocommiserarvi sui social. Comunicare (sotto forma di post su Facebook o stories su Instagram) che siete oberati di lavoro, che tutto ciò vi procura un’ansia che non siete in grado di gestire, non dà una buona immagine di noi freelance. Non ne posso più di leggere colleghi che “lavorano il doppio delle ore per la metà dei soldi”: non c’è nulla di cui vantarsi, è un pensiero malsano (per voi e per chi vi segue) e infedele (nei confronti della figura del freelance). L’Italia è il paese europeo con il maggior numero di liberi professionisti (intorno a un milione: un numero elevatissimo, considerando che la categoria comprende in tutta Europa 5,7 milioni di lavoratori): è o non è qualcosa che dovremmo considerare come una nostra forza?
Quanta verità Laura. Finalmente un articolo serio e non fatto da pseudo giornalisti che non hanno mai fatto un giorno da freelance in vita loro.
Grazie per averlo letto fino alla fine! 🙂
Ho letto fino ad oggi almeno mille articoli o post sui freelance, ma questo posso dire che uno degli unici articoli che mi ha colpito davvero. Mi sono immedesimato interamente nell’articolo e hai dato un messaggio ben chiaro sul essere “Freelance”. Sono alcuni anni che voglio fare questo passo ma articoli come questo mi rendono ancora più deciso, perché chi è realmente portato e a chi realmente piace farlo il famoso freelance va al di là dei guru o dei fantasisti che scrivono tutti i giorni cose assurde.
Complimenti.
Ciao Francesco, grazie per i complimenti! In bocca al lupo per il gran passo!